Ma la tua musica unisce…? La mia musica fa parte di quella categoria che non arriva al primo ascolto, è ricca di parole e non segue mai una strada già percorsa da altri. Privilegio sempre l’argomento nuovo, il racconto e cerco di far avvicinare le persone alla cultura che spesso, purtroppo, trovo carente nelle nuove generazioni. Nasco in un periodo dove la comunicazione di un testo aveva un accompagnamento adeguato ed una canzone diventava bandiera e slogan, si ricercava sempre la storia originale da mettere in musica; oggi invece prolifica solo musica ripetitiva e senza originalità e se questo apparentemente può sembrare che unisca in realtà crea confusione e nega la scelta personale del gusto musicale. La mia musica unisce chi riesce a percepirne le radici, chi si lascia sorprendere e cerca come me qualcosa da raccontare che non sia un clone. Malgrado le varie complessità credo che la mia musica riesca ad unire anche se la strada a volte sia impervia e non trovi la giusta collocazione e l’opportunità di farsi ascoltare. Del resto penso che la comprensione della musica, alla stregua di quella della vita quotidiana, sia influenzata da una profonda e personale preparazione culturale.
Lo sguardo critico a che punto t’infastidisce e quando lo esigi? Indubbiamente la critica per un artista è fondamentale ma occorre una profonda analisi d’ascolto che porti a critiche costruttive altrimenti risultano solo giudizi senza crescita dettati unicamente dalla superficialità e negli anni ne ho vista parecchia. Ricordo sul canale youtube un personaggio sconosciuto con uno strano nickname che criticò duramente una mia scrittura ed una mia performance: se avesse usato tatto e profonda analisi avrei riflettuto su quanto scritto ma in realtà ha preferito esprimere un giudizio certamente non dettato da una volontà di critica costruttiva bensì da uno spirito di rivalsa senza motivo ed assolutamente gratuito. Francamente non comprendo questo desiderio di denigrare l’operato altrui o forse ne conosco il motivo ma preferisco non approfondire… l’ignoranza può uccidere la vita di un artista come è già successo in passato con Mia Martini, una tra le cantanti più brave del panorama musicale che probabilmente procurava fastidio a qualcuno più sponsorizzato ma meno preparato sul lato artistico ed umano. Quando si esprime una critica occorre quanto meno avere una preparazione sull’argomento perché se questa non è costruttiva è meglio tacere. Se dopo un’attenta analisi il giudizio è comunque negativo può essere un’ottima cosa ma questo deve essere espresso da un tecnico del genere che eseguo…. un critico di musica Jazz non può giudicare la mia musica. E soprattutto va espressa una critica sulla musica e non sull’artista in quanto persona: sappiamo che il pessimo critico giudica il poeta e non la poesia. Quindi, critiche ben accette purché siano sincere, scevre da ogni personale risentimento ed assolutamente preparate e professionali, altrimenti diventano offensive ed ingestibili.
Cosa significa per te fare un “lavoro serio” ? Per rispondere a questa domanda devo fare un salto nel passato. Gli insegnamenti di mio nonno sono stati fondamentali per la mia maturazione artistica e lavorativa. Servono idee chiare e l’operare in maniera seria non concede spazio all’improvvisazione o all’ inventiva di comodo. Fare un lavoro serio significa accostare la passione e la determinazione ad una buona dose di perseveranza. Chi è interessato solo al guadagno non esercita un lavoro artistico serio ma gestisce un’attività commerciale. Oggi si propina ai giovani un modello fatto solo di allori e vite realizzate facendogli credere che l’unico modo di fare un lavoro serio sia apparire ed avere successo. Io credo profondamente in quello che faccio a tal punto che paradossalmente lo farei anche gratis… e in passato non nego di averlo fatto ma è chiaro che anch’io devo affrontare la vita quotidiana e ciò che comporta. Lavoro serio significa non lasciare mai nulla al caso, studiare continuamente, provare continuamente e non accontentarsi mai. Non siamo qui solamente per arrivare e fermarci, siamo qui soprattutto per non fermarci mai. Vedo nel mio futuro un Max anziano che continua la sua crociata immagazzinando input, ricercando sempre l’arricchimento e la preparazione che inevitabilmente muta di continuo per fare un lavoro ancor più serio: vivere.
La musica, in generale, può produrre ancora degli autentici miti, che possono passare alla Storia? Sì certo, potrebbe, ma si dovrebbe riequilibrare il sistema che da troppi anni predilige l’apparire alla forma interiore. Oggi proliferano troppi cloni e troppi sognatori che emulano i loro idoli anche se di miti non ne nascono più da tanti anni. Sono contrario ai reality che hanno allontanato i giovani dalla concretezza e li hanno disabituati dal crearsi la propria identità illudendoli con la promessa di una carriera facile laddove invece questa va conquistata e costruita con la gavetta e l’esibizione sul palco. Credo che i reality abbiano contribuito all’impoverimento della cultura. Noi avevamo altri valori in cui credevamo e se è vero che i tempi sono cambiati era altresì prevedibile che la realizzazione di programmi futili scatenasse nelle nuove generazioni una sorta di appiattimento culturale e cerebrale con conseguente perdita di libero arbitrio. Ci sono tanti artisti bravi ma sono mal gestiti dai talent interessati solo dal risultato immediato, non ci sono progetti e questo comporta la produzione di meteore che non si eleveranno mai a mito. Artisti come Mina, Mia Martini, Patti Pravo oppure Fred Buscaglione, Giorgio Gaber, Luigi Tenco…non hanno la speranza di rinascere in questo momento. Anch’io nasco artisticamente influenzato da grandi del passato ma il mio obbiettivo è sempre stato quello di emergere come artista originale e non come semplice riproduttore di musica. Ciò spesso complica la strada che si percorre ma è l’unico modo per ambire ad una carriera musicale seria e credibile. Il mercato discografico ormai è una fabbrica di clonazione ma sono certo che ancora ci sia qualche artista nascosto che potrà nel tempo dimostrare cosa significhi veramente passare alla storia come artista originale. A volte mi diverto ad interrogare i giovani come a suo tempo facevano i più grandi con me. Noto a malincuore che essi sanno perfettamente chi è Valentino Rossi o Francesco Totti ma nessuno mi sa dare informazioni su Sacco e Vanzetti. Eppure se non si cercano le risposte nella storia e nella cultura non si darà più vita a miti. I grandi della nostra musica non sono stati solamente bravi ad eseguire il loro repertorio, sono stati soprattutto capaci di comunicare la cultura che nel tempo è rimasta il loro punto di riferimento. Come esempio potrei citare una cantante molto giovane di Riccione che ha nelle corde vocali il plutonio, un’energia formidabile e con ogni probabilità le capacità artistiche di una grande interprete, ma quel che le manca è la preparazione generale ed una spiccata personalità palcoscenica ma purtroppo queste caratteristiche non si imparano nella scuola di canto ma si acquisiscono solo con profonda autocritica ed esperienza diretta. I cantanti emergenti di oggi tendono ad emularsi tra loro e pensano così di percorrere la strada giusta mentre in realtà stanno perdendo di vista le vere opportunità. Di miti forse non ne nasceranno più nei prossimi 30 anni ma sono certo che ci sarà un ritorno alla musica d’autore che inevitabilmente metterà ordine in questo caos di bravura mal gestita.
Gli artisti sono oramai costretti ad improvvisare un live con palcoscenico annesso? Il vero artista vive di live e di palcoscenico, la cosa che mi duole è che si è sviluppata una tendenza alla musica improntata sulle cover band e sempre meno su cose originali. Quindi se mi stai chiedendo se noi artisti siamo costretti ad improvvisarci la risposta è sì, dobbiamo rinunciare ai templi della musica originale in favore di formazioni cover. Con questo mi riallaccio alla domanda precedente perché la responsabilità è soprattutto dei gestori dei locali live interessati più al guadagno che al privilegiare l’artista ed il progetto. Ciò comporta l’improvvisazione live ovunque venga accettata e sostenuta. Aprendo una parentesi noto mio malgrado che i gestori dei locali fanno solo i loro interessi, gli artisti vengono sottopagati se non addirittura chiamati ad esibirsi gratis e il più delle volte non versano neanche le quote siae. Nel tempo questo atteggiamento ha costretto bravi artisti a non continuare l’attività di musicista per mancanza di strutture dove esibirsi. Per non essere più costretti ad improvvisare occorrerebbe più professionalità da parte dei gestori, della siae e degli artisti stessi. La musica è una cosa seria non un gioco. Ci sarebbe molto da dire sulla parola “improvvisazione”: ci sono vice direttori di banca che suonano, casalinghe che cantano, bambini che si esibiscono da Gerry Scotti. Tutti pensano di poterci riuscire perché fare musica non è considerata una vera professione, un “lavoro serio”.
Credi che amino le situazioni d’incertezza? Credo che non ci sia più la vera passione di costruire qualcosa di personale e quindi l’incertezza li porta ancora a sperare di essere notati da qualcuno. Alla fine sarà la perseveranza, il lavoro e la fede in quello che si sta facendo a ripagare di tanto sforzo.. Il problema è che nessuno vuole realmente cambiare le stato attuale delle cose e tutto rimane in uno stand-by di incertezza.
E’ capitato che il Pensiero sia arrivato vicino ad ucciderti?Sicuramente ad uccidermi no, ma ad attanagliarmi lo stomaco forse sì. Dietro la mia carriera c’è tanto lavoro, in ogni attimo della giornata c’è lavoro, scrittura e studio. Per non parlare degli investimenti che ho dovuto affrontare e che negli anni hanno portato dei risultati, ma questa incertezza artistica globale a volte uccide la dignità degli artisti. Fare musica veramente è una missione precisa: è come essere innamorati della propria famiglia, nessuno può conoscerne l’intensità tranne te.
Invece ti capita ancora d’incontrare individui che incorporino popoli interi? Certo ma in Italia no.
Usando termini borsistici, è più bello comporre “in rialzo” o “in ribasso”…? Assolutamente “in ribasso”: è la composizione più eterna che si possa creare. Molte delle canzoni rimaste nei secoli quando a loro tempo vennero proposte non vennero notate adeguatamente. Il mercato di oggi invece risponderebbe “al rialzo” senza accorgersi di quanto sia diventato tutto uguale e scontato. Scrivere in rialzo può significare la ricerca continua della vendita immediata e la fine nel dimenticatoio, la canzone in ribasso non si prefigge questo obiettivo ma durerà nel tempo.
In conclusione, mi racconti di qualche rapporto di scambio culturale coi tuoi colleghi? Mi piace molto il confronto con le persone e soprattutto con i colleghi. La mia voglia di confronto spesso non trova sbocchi, non tutti i miei colleghi hanno l’intenzione di essere loro stessi a crescere ma preferiscono parlare per paragoni o citando dei miti. Noto sempre più la mancanza di un principio e di un progetto personale, la crescita è una continua evoluzione che non si ferma mai.
Intervista a cura di Vincenzo Calò.